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Perché in un periodo così lungo - più di tre sessenni di programmazione europea e più di quattro legislature parlamentari - nelle agende politiche è stato rimosso il rischio declino, messo invece in evidenza da cento rapporti conoscitivi? Perché lo Stato, cui la Costituzione ha affidato il compito di determinare le politiche e le risorse per rimuovere gli ostacoli allo sviluppo, anche in sostituzione degli Enti inadempienti, non è intervenuto? Perché si tenta di imputare il declino alla sola inefficienza dei decisori regionali, omettendo il ruolo determinante dello Stato e dell'U.E. nella filiera decisionale delle politiche di sviluppo? Perché non richiamare gli effetti della discontinuità delle politiche di sviluppo nel lungo periodo e non porsi la questione sull'appropriatezza o meno delle terapie proposte rispetto alle patologie specifiche delle regioni meridionali? Oggi, più che mai, il cambiamento delle politiche di sviluppo ed, in particolare, la creazione di posti di lavoro nelle regioni con alti tassi di disoccupazione giovanile, non sono più solo obiettivi prioritari, ma necessità da perseguire, prima di ogni altra, per garantire la sopravvivenza delle regioni meridionali.